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Una settimana da Child Free

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Le vacanze sono una cosa meravigliosa. Soprattutto se a farle sei sia tu che tua figlia. Nel senso che lei va al mare con i nonni e tu rimani a casa a (far finta) di lavorare.
Nel senso che tu in effetti lavori, ma lavori diversamente.
Non prendiamoci in giro. Quando i figli sono in vacanza la casa si trasforma, tu ti trasformi, l’universo intero cambia.
Almeno fino a quest’anno.
Niente, anche l’ultimo baluardo di una me capace di essere me anche senza Lei sta crollando.
Che palle.

Non è una questione unicamente materna. Credo sia proprio un fattore di vita. Cominci a essere assuefatto da sta cosa di avere una figlia che tutto, anche la sua assenza, diventa quasi insormontabile.
Ovvero, avevo una settimana da childfree e mi sono fatta fregare dai sentimenti.

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Fare la mamma Child Free

GIORNO 1: arrivo a casa. Non devo cucinare, parlare, raccontare leggere o accarezzare. Prendo la borsa del mare e dico “lo faccio dopo”. Non l’ho mai più fatto. Dopo tre giorni ho buttato tutto il contenuto. Credo ormai il telo camminasse. Ho comprato una birra, anzi due, un supplì e quella sarebbe stata la mia cena.

Fritto e alcool. Altro che verdurine a km zero. Mi siedo sul divano. Accendo la tv, il computer e mi metto a chattare. Chiamo tutti i miei amici che non vedo da una vita e mi accaparro 34 appuntamenti da gestire e spalmare in tutta la settimana. Fumo una sigaretta dentro casa serena e penso: sono in vacanza.

GIORNO 2: mi sveglio. Preparo la colazione con latte cereali e Nesquik e dopo mi accorgo che per questa mattina bastava solo un caffè per me. Ci rido sopra, ma qualcosa mi da una schicchera dentro il pancreas. Dico boh. Però a questo punto chiamo la nana, che allegramente stava già in procinto di andare al mare con la nonna. Spensierata dico. Troppo penso. Ma ok, giusto così.

La mia giornata inizia con un motorino che non vuole partire, un meccanico sudato e una autobus affollato. Ma ok, pazienza dico. Dopo il lavoro avrò finalmente il tempo per potermi rilassare e fare tutto quello che non faccio di solito perché ingabbiata in un parchetto con Mina. Peccato che dopo il lavoro proprio quel parchetto pieno delle mie amiche oggi un po’ mi manca. Ma ok. Facciamo che le cose che dovrei fare oggi le faccio da domani e oggi mi rilasso. Sì, ma per quanto. Oddio. Noia.

GIORNO 3: la macchinetta del caffè. Solo lei. Sì perché questa volta il latte non lo spreco. Mi ricordo, Mina non c’è. Ma faccio tardi. Com’è possibile che con lei sono sempre puntualissima e senza faccio casini?! Fosse il mio orologio quotidiano?
Fosse la mia valvola di salvezza da quell’orribile cosa che è il ritardo? Scuoto la testa. Corro a lavoro. Torno. Ok, ora faccio tutto, anche perché stasera si esce. Non uscivo di martedì da credo sei anni. Scrivo due articoli, doccia, serata. Fico. Sì, dai fico. Apro casa alle due di notte. Apro camera di Margherita alle due e un minuto di notte. Cazzo. Automatismo seriale. E lacrima.

GIORNO 4: oggi sono in forma. Agguanto il motorino e scivolo in negozio. Sono frizzante, ho una giornata piena di impegni che si concluderanno con una cena fra amiche. Peccato che in questa cena io ero l’unica mamma senza figlia. Tutte si godevano il loro momento family-friendly e io sembravo una rimastina senza arte ne parte.

Tanto ho detto, tanto ho fatto, che arrivo alle nove e alle undici tutto era già finito. Perché ovviamente iniziato alle sette. Disperata chiamo uno dei tanti amici supplicandolo di offrirmi un cadò che non fosse Sprite. Torno a casa alle due di notte. Passo davanti alla porta di Mina. Lacrima. Noia. Manco la soddisfazione di raccontare alla baby-sitter cosa di altamente avventuroso avevo fatto (ovviamente mentendo). Chiudo gli occhi e penso: “ che vita di merda”.

GIORNO 5: rotolo in cucina. Ormai neanche la gatta mi fa le feste. Sembriamo due vecchie che si fanno compagnia aspettando che qualcosa li porti via. ‘Na tristezza infinita. Due croccantini, un sorso di caffeina e via col tango. Oggi però l’ultimo baluardo childfree me lo godo tutto; esco con le mie amiche non sposate e manco mamme. Qui devo divertirmi come se non ci fosse un domani.

Anche perché il mio frigo è deserto, la casa piena di scarpe anche dentro la lavatrice e vestiti sui lampioni. Non mi ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho mangiato una verdura e il mio compagno l’ho visto meno questa settimana che in tutto il resto dell’anno quando sono mamma a tempo pieno (la frase “tanto possiamo decidere all’ultimo finalmente” è qualcosa di altamente autodistruttivo).
Il mio sforzo maggiore è stato comprare una bottiglia di vino per la serata e pensare “mi sa che ho dimenticato di fare qualcosa”, ovvero pagare la bolletta della luce. Ma qui mi rilasso e mi godo gli amici. Solo che Margherita mi manca. E pure tanto. E quest’anno la cosa pulsa come non mai.

GIORNO 6: è sabato. Io il sabato lavoro 10 ore. Meglio. Perché almeno penso meno. Penso meno che ormai la mia vita è fatta di questa nana, che mi lega a lei. Che grazie a lei io posso avere ed essere. Che anche se mi fracassa le scatole praticamente tutti i giorni con le sue lagne, mi ha insegnato a vivere.

Io non posso più farne a meno. Non mi diverto se lei non c’è. Non mi godo nulla se poi quando torno a casa, lei non c’è. Non riesco a calendarizzare, a creare, a sognare se lei è lontana. Non posso più essere ciò che non sono. Non posso non essere mamma.

GIORNO 7: ok. Mi rilasso. Oggi riacchiappo quella pannocchia e la mozzico. Sono emozionata. Ma tanto proprio. È stato buffo passare questa settimana senza di lei. Avevo momenti di totale libertà che non ho mai poi sfruttato fino in fondo. Come quando si dice che il bianco è bianco perché dall’altra parte c’è anche il nero. O quando si ipotizza che il rumore di un albero si sente solo se c’è qualcuno lì ad ascoltare, altrimenti il suono non esiste. Tipo queste cose qui.

Forse senza di lei sarei una filosofa perché piena di tempo da spendere a riflettere sul fatto che sono piena di tempo.
Comunque. Basta. Sono in macchina, apro la porta di casa, vedo un costume di Minnie che mi salta addosso.

E tutti gli organi finalmente sono al loro posto.


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